L’efferato omicidio di Pescara,

perpetrato da due giovani all’apparenza “insospettabili”, ci costringe a confrontarci con una realtà scomoda e spesso sottovalutata:

la profonda capacità dei nostri ragazzi di comprendere i nostri bisogni e le nostre aspettative. Non si tratta di una mera intuizione, ma di una vera e propria abilità, frutto di un’attenta osservazione del mondo adulto.

I ragazzi, infatti, imparano a modulare i propri comportamenti in base al contesto e alle persone che li circondano. Sanno perfettamente come “funzionare” con gli adulti, attivando schemi comportamentali che ci rassicurano e ci inducono a considerarli “bravi ragazzi”. Si tratta di una sorta di repertorio di regole non scritte e ripetute, un’imitazione appresa che spesso nasconde ben altro.

Accanto a questo schema “richiestivo” di noi adulti a cui rispondono in modo più o meno favorevole per sopravvivere, i ragazzi gestiscono relazioni autonome tra pari, in contesti a noi spesso preclusi. In queste interazioni, libere da condizionamenti esterni, emergono i loro veri bisogni, le loro emozioni e le loro fragilità.

L’emergenza educativa

che viviamo oggi scaturisce proprio da questa divaricazione. Da un lato, pretendiamo dai ragazzi una condotta impeccabile, conforme alle nostre aspettative, spesso incentrate su beni materiali come scarpe firmate,telefoni di ultima generazione o ristoranti alla moda. Ignoriamo invece i loro bisogni più profondi, quelli che vanno ben oltre la sfera materiale e si radicano nel desiderio di essere compresi, accettati e valorizzati per ciò che sono.

La tragedia di Pescara rappresenta un monito drammatico.

Non possiamo più permetterci di ignorare i segnali di disagio che provengono dai nostri giovani. Dobbiamo creare spazi di ascolto autentico, di dialogo aperto e di supporto psicologico, sia negli ambienti scolastici che in quelli familiari e sociali.

Solo attraverso una maggiore empatia e comprensione potremo superare la dicotomia tra “insospettabili” e “devianti” e cogliere la complessità dei loro vissuti.

Ascoltandoli attentamente e offrendo loro un supporto concreto, potremo aiutarli a trovare modi sani per esprimere le loro emozioni, costruire relazioni positive e tessere un futuro più sereno.

In sintesi

la chiave per affrontare l’emergenza educativa risiede in un cambio di paradigma: da un atteggiamento di controllo e giudizio ad uno di ascolto empatico e di supporto. Solo così potremo costruire un ponte verso i nostri ragazzi,abbattendo i muri dell’incomprensione e gettando le basi per un futuro più sicuro e luminoso per tutti.

Occorre inoltre ripensare il concetto stesso di “bisogno”. Non basta soddisfare le necessità materiali dei nostri ragazzi, se non ci curiamo di quelle immateriali, che nutrono il loro spirito e la loro personalità.

Solo un’educazione autentica, capace di valorizzare l’unicità di ogni individuo, potrà prevenire tragedie come quella di Pescara e costruire una società più giusta e solidale.

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La tragedia di Pescara: l’espressione violenta di un’emergenza
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