Scuola e famiglia: la “coppia” da riconciliare

 
Ci sono giorni a scuola che penso quanto sarebbe utile avere le telecamere in classe per mostrare ai genitori  il comportamento di alcuni ragazzi affinché comprendano quello che sono capaci di fare o dire e che loro neanche si immaginano o forse preferiscono non vedere perché troppo doloroso.

Ci sono giornate particolarmente intense in cui si fa fatica a portare avanti la lezione con gli studenti che proprio non vogliono saperne di restare seduti e si alzano ora per buttare una carta ora per chiedere di andare in bagno. Fatica che ricade spesso anche su molti degli stessi alunni della classe.

Sono episodi che vivo male perché sono il segnale che in quel momento proprio non riesco ad interessare o a motivare a sufficienza e, per questo motivo, insisto quotidianamente investendo energie, attivando strategie creative: declamo personalmente gli struggenti versi d’amore di Paolo e Francesca, istrionicamente mi sbraccio tra i banchi con il futuristico  “Zang Tumb Tumb”, faccio interpretare ai ragazzi l’incontro fra Don Abbondio e i Bravi, impiego parte delle lezioni con collegamenti esterni, film e virtual tour sulla LIM .

E’ di qualche settimana fa  la vicenda dell’alunno di una scuola toscana che prende in giro il professore scimmiottandolo, con la reazione del docente evidentemente esasperato che colpisce il ragazzo allo stomaco. Quanto accaduto è stato ripreso in un video girato  da un compagno di classe che ha immediatamente fatto il giro del web e che è indicativo di una verità inoppugnabile: tutti i soggetti coinvolti hanno sbagliato.

Ha sbagliato l’alunno mancando di rispetto al docente e quindi ad un pubblico ufficiale; ha sbagliato l’insegnante che, seppur esasperato, non avrebbe mai dovuto reagire con uno scatto violento; ha sbagliato chi ha filmato la scena, violando il regolamento che proibisce l’uso del cellulare a scuola se non per attestati fini didattici.

Negli ultimi anni sono aumentati a dismisura gli episodi di violenza all’interno degli istituti scolastici. Fatti molto gravi con la scuola che perde autorevolezza. Per ogni aggressione certa ne abbiamo altre che sono ignote o sulle cronache: lancio di cestino contro l’insegnante, genitori che rifilano pugni ai docenti, insulti e bestemmie contro i professori o addirittura spari con una pistola ad aria compressa tra le risate sciocche e inconcludenti di giovani vite mancanti di stimoli e di educazione. 

Sul fronte opposto, gli sportelli d’ascolto registrano sempre più confidenze di alunni che soffrono in quanto subiscono personalmente vessazioni da  parte degli insegnanti o ne riferiscono nei confronti dei compagni di classe. Vessazioni che spesso minano l’autostima dei ragazzi facendoli sentire inadeguati e lasciandoli nell’impotenza di una reazione.

Sarebbe pertanto auspicabile che scuola e famiglia, in un virtuoso patto educativo, collaborino in modo proficuo per la crescita dei giovani. Troppe volte si dimentica che la prima agenzia educativa è la famiglia e non è possibile delegare completamente questo ruolo alla scuola, immaginandola come l’unica responsabile degli insuccessi scolastici e dei comportamenti scorretti dei figli.

Tra gli insegnanti, d’altra parte, ci sono sia  quelli che non riescono più a svolgere con serenità la loro funzione, intimoriti dall’aggressività di studenti e famiglie, sia quelli troppo concentrati sul ruolo didattico del trasmettere conoscenze, quindi meno capaci di coinvolgere ed emozionare la classe nonché di mantenere l’ordine.

A tutto questo si aggiunge che i docenti sono sempre più investiti da crescenti carichi burocratici di lavoro e da nuove responsabilità che spesso esulano dall’insegnamento e sottraggono ulteriori energie. La quotidianità di un lavoro fondamentale per la tenuta democratica di una comunità è stravolta da giornate infernali, cadenzate tra costanti gesti di ordinaria arroganza.

Gesti di reazione, come quelli del professore, sono assolutamente da condannare e vanno inseriti all’interno di un contesto sociale davvero preoccupante. La figura del docente, oltre a perdere autorevolezza nei confronti degli alunni, perde il rispetto sociale.

Può accadere anche di trovarsi di fronte a ragazzi “sordi”, con cui non si riesce a entrare in relazione, 

ragazzi che si propongono come conflittuali o oppositivi quasi avessero come obiettivo lo scontro con l’altro mentre in realtà nascondono semplicemente una richiesta di aiuto e lo fanno così bene che l’esasperazione a cui arrivi è pericolosamente vicina al limite che mantiene l’autocontrollo”.

La scuola è il luogo per eccellenza della trasmissione dei saperi e della formazione delle nuove generazioni e va promossa e salvaguardata.

Per vivere serenamente l’insegnamento e fare un tipo di scuola veramente formativo occorre un lavoro fatto di ascolto, conoscenza reciproca, allegria, ironia e soprattutto autorevolezza, tanta, tanta energia e tanta, tanta pazienza senza smettere mai di confidare nelle risorse proprie e dei ragazzi.

A loro va spiegata ogni cosa, il motivo del nostro agire o di una decisione, così come va spiegato cosa provocano le loro azioni in noi, nel bene e nel male. 


Il compito più difficile è motivarli all’attenzione e allo studio, specie ora che sono iperconnessi e credono di sapere tutto semplicemente postando una parola; iperconnessi con i social e iper influenzati dalla televisione che li  proietta verso modelli di comportamento incentrati su prepotenza, arroganza e valori discutibili.

Dobbiamo liberarci dal ricordo nostalgico della televisione educativa degli anni ’50 (come non ricordare ” Non è mai troppo tardi del maestro Manzi”?) e arrivare alla consapevolezza che nella maggior parte delle trasmissioni di oggi la regola delle discussioni è l’aggressività verbale e non solo.

Le giovani generazioni prendono gli esempi da seguire da una televisione trash che viene identificata con la verità senza rendersi conto che quella che viene trasmessa potrebbe essere una falsa o amplificata verità.

Come docente sono nella scuola da 30 anni, ho insegnato sia nei licei che nella Secondaria di Primo Grado. Ho sempre cercato di avere un rapporto di rispetto e stima con i miei studenti. Sono severa, lo ammetto e spesso, più che autorevole, sono stata autoritaria quando le circostanze lo richiedevano. Ho sempre amato e amo il mio lavoro pur vivendo momenti di sconforto di fronte alla difficoltà sempre maggiore di formare i miei ragazzi, di fronte all’assenza o all’interferenza di alcune famiglie. 

Ed è proprio nella famiglia che risiede la prima opportunità per un nuovo inizio. Le famiglie sono responsabili ovvero abili a rispondere dell’educazione dei figli. Sicuramente lì dove ci sia una situazione di disagio sociale per arretratezza culturale o difficoltà economiche è necessario un supporto ma i problemi, purtroppo, sempre più frequentemente si presentano fra le cosiddette famiglie “per bene”.

Ed allora chi ha carattere, passione e pazienza resiste,  chi invece vive il profondo disagio dell’entrare in classe cede dopo ore, giorni, mesi e anni di angherie fisiche e psicologiche (e questo vale tanto per gli insegnanti che per gli studenti a scuola e i genitori a casa). 

Noi insegnanti siamo educatori, dottori dell’anima e del corpo, ma prima di ogni altra cosa siamo esseri umani, con le nostre fragilità messe quotidianamente a dura prova da chi pensa sbagliando che, siccome  per la natura astratta del nostro lavoro non possiamo essere inquadrati nella categoria del produrre, allora non meritiamo considerazione, quella considerazione che da soli quotidianamente dobbiamo conquistare anche a duro prezzo della nostra salute, per non vanificare l’effetto formativo sugli adulti di domani. 

É necessario perciò condividere e comprendere pienamente l’importanza del patto formativo che annualmente ogni ordine di scuola propone alle famiglie.

da Le riflessioni di ERRE

Rita Barbuto

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Quel pugno allo stomaco…ed il “patto” dimenticato.
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